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Di Lucia Krasovec-Lucas

La transizione digitale cui siamo incanalati ci fa chiedere come potremo vivere domani (a partire da oggi) lo spazio pubblico e quello privato, dove il primo è svuotato di significato da tempo e il secondo soffre di inadeguatezza materiale ed emotiva.

Ma in che modo andremo verso il digitale ecologico, ovvero quale strada dovremo prendere per superare l’impasse attuale e anticipare soluzioni per evitare ostacoli in futuro?

La città, il luogo urbano, rimane ancora la migliore occasione per sperimentare l’evoluzione sostenibile, e lo dimostrano tanti progetti urbani europei focalizzati sulla Next Green Generation.

La città è la rappresentazione di chi vi abita, il palinsesto delle forme con cui si sono costruite nel tempo occasioni e prototipi, modelli di vita economica e culturale, oltre che fisica. La comunità è costruttrice di opere che simbolicamente rappresentano processi di sviluppo a lungo termine, che hanno definito nel tempo la nostra memoria quale traduzione di consistenza della esistenza e della sopravvivenza delle relazioni, umane ed ecologiche.

Oggi continuiamo a parlare di costruzione tradizionale in un divenire transizionale che affonda ancora (per fortuna) le radici nell’importanza delle relazioni tra le parti, attraverso quei processi dinamici che formano l’ontologia dei movimenti che vanno, a loro volta, intercettati e guidati dalle reti digitali che si fondano sulla quantità dei movimenti ma non sulla qualità e sul valore indotto degli investimenti.

Un modo di costruire più vicino alle persone

Il prefisso meta- utilizzato in filosofia ma non solo, che in greco implica l’idea di seguire qualcosa ma anche di entrarci dentro, potrebbe venir applicato anche al campo più esteso del costruire – edilizia e comunità – per evidenziare quei neologismi necessari a superare il dualismo soggetto/oggetto e a riportarci in prossimità del mondo e alle cose che abbiamo davanti.

Interpolando la “Tecnopoli” di Neil Postman, come stato culturale e stato della mente, con le esigenze del vivere e dell’evolvere, anche presupponendo l’indeterminatezza dello stato liquido di Zygmunt Baumann, la via d’uscita potrebbe stare nella ricerca di nuove alleanze per nutrire quella scientificità che non sta solo nei dati empirici ma anche in ciò che è giustificato con buone ragioni, che presuppone (anche) la costruzione di una comunità autoriflessiva e autocorrettiva.

Quindi, se la tecnologia non potrà più venir scissa dalla cultura umanistica, l’economia ultra tecnologica contemporanea non potrà disattendere la propria base nelle SSH (Social Science and Humanities), poiché sarà inutile collezionare infinite quantità di dati se non ci saranno capacità interpretative in grado di attribuirne il senso: per questo è urgente attivare nuove alleanze (anche improbabili a prima vista), investire nella ricerca ed essere disposti ad uscire dalla nostra confort zone.

L’importanza della sostenibilità

Uno degli obiettivi sta nell’attraversare ogni resistenza e approdare coscientemente alla sostenibilità anche nel mondo delle costruzioni, con ripercussioni positive a largo raggio: e ciò comporta il voler abbandonare l’economia lineare che consuma senza appello le nostre risorse e approdare con convinzione alla moltiplicazione delle strategie circolari al fine di poter dare una seconda vita alle risorse dando nuove prospettive a tutto il nostro fare, dove l’era dei cyborg è funzionale all’evoluzione culturale senza dettarne le regole.

L’Artificial Revelation (così definiti da Joel Mokyr quegli strumenti che amplificano i sensi degli esseri umani) ci permette di osservare le tendenze ed elaborare meglio le simulazioni che stanno alla base delle scoperte, e i suoi effetti indiretti danno contributi importanti alla ricerca scientifica, oltre ad abbassare i costi della conoscenza, perché se sappiamo che qualcosa è stato già inventato o scoperto non si perde tempo a ricominciare ogni volta da capo.

La conoscenza, sia sa, non è monetizzabile ma può venir messa a reddito applicando quanto, appunto, è stato già sperimentato. Un esempio per tutti, in ambito della sostenibilità intesa da Agenda 2030, la Direttiva EU 30/05/2018 sui rifiuti da demolizione e ricostruzione, e le sperimentazioni belga e francesi che hanno definito i cantieri di demolizione “miniere” per i produttori di materiale da costruzione. E nel 2020 l’Unione Europea ha pubblicato le linee guida per una circolarità sostenibile dell’intero ciclo di vita dell’edificio, relativamente la durata, l’adattabilità e la demolizione, che potranno venir messe in atto nei Paesi aderenti con le opportune regolazioni  del caso.

Un approccio multidisciplinare

Viene così naturale immaginare che l’unica strada da prendere sia quella di una ricerca interdisciplinare sullo stato dell’arte come premessa di conoscenza indispensabile per poter avviare una programmazione di economia circolare sul territorio nazionale, dove l’ineluttabile destino della demolizione (che nei prossimi anni costituirà un’attività edilizia significativa per abbandono e degrado endemico) potrà diventare l’occasione per un nuovo modello di business: al di là della monetizzazione in senso tradizionale, la principale valutazione di sostenibilità nell’equazione ecologica non starà più nell’assecondare le problematiche con azioni cerotto ma nell’affrontare le criticità attraverso l’adattività e l’esplorazione dei fenotipi che, come nelle teorie del programma EES (Extended Evolutionary Synthesis), indirizzano gli eventi evolutivi a larga scala, nella consapevolezza che il suolo è vivo e la nostra sopravvivenza vi è interamente concatenata.

La transizione digitale potrà quindi condurci alla meta-costruzione? 

Certamente è necessario un ripensamento del ruolo di chi è coinvolto nel complesso sistema del costruire inteso come trasformazione dello spazio – imprese, professionisti, laboratori, istituzioni, stakeholders –, che potrà mettere in evidenza il potenziale economico della relazione dialettica tra l’atto del costruire e la committenza/comunità sinergica in cui e per cui si manifesta, dove la prospettiva di sostenibilità dona nuova vita a materiali e luoghi, trasformando la demolizione in costruzione, le case in giardini, amplificando le risorse a disposizione per le generazioni future. 

La meta-costruzione, quindi, come obiettivo di sostenibilità a lungo termine dove ogni cantiere diventa l’occasione di ricerca ed evoluzione a pari costo, all’interno di un programma dinamico che promuove la sperimentazione come presupposto per inventare nuove espressioni dell’abitare, come valore aggiunto a favore della sostenibilità.