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Intervista a Giovanni Salmistrari, presidente di ANCE Venezia – a cura di Alfredo Martini

Settantacinque anni + 1 Covid. Così definisce l’anniversario di Ance Venezia il suo presidente Giovanni Salmistrari, “perché a causa della pandemia non ci è stato possibile realizzare il programma di iniziative che avevamo progettato per ricordare questa lunga storia.”

Cosa state facendo?

E’ nostra intenzione collegare strettamente il nostro passato con quello che vorremmo fosse il nostro futuro. In sintesi da un lato abbiamo deciso di restaurare il grande affresco del Tiepolo e della sua scuola che caratterizza il soffitto e la cornice della nostra sala consiliare a Palazzo Sandi. Un lavoro complesso ma che sotto la guida e il controllo della Sovrintendenza sta esaltando un’opera di grande impatto emotivo. Contiamo di completarlo a breve e già prima dell’estate sarà possibile vederlo e visitarlo. Dall’altra parte abbiamo aperto quello che potremmo definire un piccolo laboratorio sul futuro di Venezia, attraverso il confronto approfondito con alcune personalità che, per storia o per il ruolo che svolgono, dedicano una particolare attenzione alla città e possono mettere in campo e in comune una riflessione in grado di produrre idee e proposte. Da una serie di interviste contiamo di animare un nuovo dibattito, perché io sono sempre più convinto che si sia persa un’occasione.

Spieghi meglio

Io credo che quest’anno di pandemia poteva essere utilizzato per riflettere, per confrontarsi, per condividere una nuova progettualità per Venezia e il suo territorio. Quale momento migliore per ripensare e provare a mettere sul tavolo nuove idee partendo dalla consapevolezza che qualcosa stava cambiando per sempre e che in questo vuoto temporale, di pausa, in cui il modello economico della città sempre più dipendente da un turismo di massa, appariva ancora più assurdo? Quando al caos e a quella che per molti veneziani veniva vissuta come una vera invasione barbarica, ma che ne costituisce il motore economico più importante e per molti la principale fonte di reddito, si è sostituita una calma piatta, un silenzio e un tempo lento che è quello della Storia, della nostra Storia. Fermarsi per mettere a fuoco i grandi problemi di una città che deve confrontarsi con questioni nevralgiche essenziali, così che quando la normalità tornerà si possa vivere meglio, sapendo affrontare con mezzi e soluzioni adeguate il ritorno di un turismo che comunque è una risorsa fondamentale per Venezia.

Quali sono queste questioni nevralgiche?

La prima riguarda il nostro sistema dei trasporti. Se si vuole veramente, e non solo a parole, restituire alla città un’attrattività economica e riportare residenti e lavoro a Venezia allora si devono ripensare i mezzi, ovvero i vaporetti, anacronistici, lenti, certo “pittoreschi”, ma così si alimenta un’immagine disneyana che dobbiamo combattere. Nuovi mezzi moderni, puntando sull’elettrico, come quelli che troviamo a Parigi, in Olanda, in tutte le città d’acqua europee. Il che vorrebbe dire scegliere realmente la sostenibilità.  In secondo luogo una gestione dei flussi e del traffico marittimo in grado di segmentare la domanda gestendo in maniera differenziata turismo e attività economiche. Chi lavora a Venezia, chi ha un’attività è penalizzato, è considerato di interesse secondario. Non è possibile che tutto sia soltanto o prevalentemente in funzione dei turisti. Va perseguito l’obbiettivo di saper separare la mobilità delle persone da quella per le merci. Questo tema si lega a quello, altrettanto importante, di una logistica funzionale al sistema economico che ancora opera a Venezia. E’ estremamente urgente predisporre dei veri e propri centri di smistamento, regolandone l’attività anche in relazione ai trasporti. Tutto questo si lega con la crisi dell’azienda comunale dei trasporti che, con poche risorse, ha ridotto i servizi penalizzando i cittadini, soprattutto per quanto riguarda chi abita e lavora nelle isole. Appare evidente che bisogna trovare delle nuove soluzioni, pensare a dei collegamenti esterni alla città. Nel passato si sono perse occasioni storiche: non solo la translagunare, ma anche l’utilizzo del Mose come infrastruttura di collegamento sotterraneo che poteva realmente aprire una nuova via di comunicazione e di relazioni veloci con un altro pezzo di terraferma oltre a Mestre, valorizzando il suo articolato arcipelago.

Proposte concrete che tuttavia dovrebbero essere inserite in qualcosa di più ampio se si vuole realmente riportare Venezia a quella che era cinquanta anni fa, sia per numero di abitanti che per le funzioni economiche che esprimeva.

Penso che un’analisi seria di quanto è successo nell’ultimo ventennio potrebbe essere utile per evidenziare le cause e soprattutto ricondurre l’operatore pubblico al suo ruolo di attore centrale nel bene e nel male. Lo è stato molto nel male, lasciando che l’economia abbandonasse Venezia: banche, grandi aziende pubbliche e private alle quali non sono state offerte alternative in termini di servizi, di soluzioni logistiche o una prospettiva per restare. Oggi l’auspicio è che vi possa essere un’inversione di tendenza, che non può che partire da una consapevolezza che il problema di Venezia è il lavoro e non la residenza. La seconda è funzionale al primo. Se sapremo ricreare opportunità occupazionali la gente tornerà e allora le abitazioni e il patrimonio immobiliare ritorneranno ad essere funzionali appunto a una ripresa economica. Il progetto che stiamo promuovendo con le università e con la collaborazione del Comune di convogliare parte del patrimonio immobiliare sulla domanda di studenti va in questa direzione. Si tratta di valorizzare, intorno a un’idea e a un progetto di forte rilancio di Venezia città universitaria internazionale, oltre al patrimonio immobiliare, i luoghi, la storia, il paesaggio, sviluppando progetti, creando indotto e servizi. Ma ci vuole una Governance forte e una strategia condivisa. E comunque non basta. Credo sia venuto il momento che il patrimonio pubblico si trasformi in una risorsa per creare nuove opportunità economiche, per attirare idee e progetti mettendo a disposizione quelle infrastrutture, anche non soltanto fisiche, in grado di fare di Venezia un luogo attrattivo per impiantare una nuova attività. In questa ottica diventa altresì rilevante sfatare alcuni miti, come ad esempio quello di una Venezia poco dinamica, lenta, quando invece bastano 20 minuti a piedi per raggiungere qualunque punto della città. Oggi con l’entrata in funzione del Mose è anche una città più sicura. Certo, resta da risolvere la questione, e qui tornano in gioco i trasporti, del collegamento con la terraferma, con Mestre. E’ mai possibile che non si sia mai pensato a soluzioni veloci come avviene ad esempio in molti Paesi con treni a guida autonoma? Diventa altresì decisivo valorizzare Mestre come centro nevralgico in una logica metropolitana. Una visione che deve riportare il fenomeno del turismo a una dimensione di equilibrio con le nuove funzioni e vocazioni dovute alla sua collocazione geografica e logistica di snodo.

Sono questi i temi intorno ai quali ruota la riflessione sul futuro con le personalità con le quali vi state confrontando? E quali indicazioni stanno emergendo?

Questi e altri. Vi sono alcuni aspetti che trovano un ampio consenso sia sul piano dell’analisi che del metodo da seguire per trovare delle soluzioni. Poi dobbiamo trovare i punti di contatto in grado di diventare un progetto credibile e attuabile. Una proposta intorno a cui amplificare il più possibile il consenso per poi porlo all’attenzione di chi ha il ruolo per trasformarlo in scelte politiche, decisioni e individuare le risorse e le competenze necessarie. L’obiettivo è di arrivare prima delle vacanze a disporre di un primo “manifesto” intorno al quale far partire una seconda fase in cui le idee e le riflessioni possano diventare un’ipotesi interpretativa nuova, a cui collegare puntuali proposte verso un percorso di cambiamento.