Di Alfredo Martini – Il 2021 costituisce un anno chiave per il Paese e per la filiera delle costruzioni. Dopo l’anno orribile appena finito, che ha richiamato i difficilissimi anni della crisi finanziaria iniziata alla fine della prima decade del secolo, conviviamo con la speranza di un rimbalzo positivo. Ciò dovrebbe valere in modo particolare per il settore dell’edilizia. Le campagne di vaccinazione, l’accelerazione della fattibilità del Superbonus al 110% e l’avvio del Piano Nazionale di Resistenza e Ripresa (PNRR) collegato alla Next Generation EU pongono concrete premesse per una consistente inversione di tendenza in termini congiunturali. Ma non solo. Questo contesto favorevole potrebbe avere effetti significativi anche dal punto di vista strutturale, contribuendo a completare un processo di innovazione e di industrializzazione del settore, quanto mai necessario. Ne abbiamo parlato con Angelo Ciribini, professore ordinario in produzione edilizia presso l’Università degli Studi di Brescia, esperto di fama internazionale e autorevole opinionista sui temi dell’innovazione digitale applicata alle costruzioni.
“Il quadro congiunturale di prospettiva, alla luce degli investimenti previsti col PNRR sul fronte della domanda pubblica e col super bonus 110% per quanto riguarda la domanda privata, consente di ipotizzare un ruolo del settore sull’andamento dell’economia nazionale sempre più rilevante. Ciò vale in modo particolare per le infrastrutture e per la riqualificazione dell’ambiente costruito. Tuttavia pesano sui risultati finali due rilevanti incognite: da un lato, la capacità di spesa, ancor più che quella di programmazione, da parte delle amministrazioni pubbliche a livello locale, e dall’altro lato il fatto che le agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica e per il miglioramento sismico dipendano dalla iniziativa individuale di proprietari e amministrazioni immobiliari, comunità energetiche, e così via. E’ opportuno sottolineare, inoltre, che la NG-EU presuppone che i programmi da realizzare debbano fungere da leva per la riconfigurazione delle economie nazionali e non costituire un insieme di meri elenchi di interventi puntuali, tanto più se tali risorse dovessero risultare sostitutive per investimenti già impegnati. Contemporaneamente sul mercato privato la mancanza di una capacità di legare l’iniziativa immobiliare alla rigenerazione in una logica più ampia, sia sul fronte della sostenibilità che del benessere collettivo, attraverso un ruolo del governo del territorio rischia di limitare gli effetti delle scelte di incentivazione. Senza tenere conto degli effetti che il Superbonus ha sul debito. Quel che difetta al Paese è soprattutto una valenza sistemica.”
Quali gli effetti invece della pandemia?
“Sul medio periodo, più che non sul breve, permane l’incognita relativa alla natura dei prodotti immobiliari richiesti nel periodo post-pandemico, in termini di ibridazione tra funzioni. La pandemia ha, infatti, fatto dell’abitazione un nuovo luogo di lavoro e allo stesso tempo richiede modifiche sostanziali agli ambienti di lavoro al servizio di nuovi obiettivi in termini di salubrità e organizzazione degli spazi. Diventa essenziale ripensare le funzioni e le relazioni tra esse. Fattori che incideranno sul valore immobiliare. Qui certamente gioca un ruolo l’innovazione, ma non in una logica di servizio all’edificio, bensì come strumento verso la progettazione e la fornitura di nuovi servizi alle persone. L’edificio come insieme di soluzioni per le esigenze di chi vi vive. L’edificio diventa un medium tra la realtà delle cose e quello immateriale. Con l’effetto di favorire l’affermazione di nuovi attori protagonisti: coloro che sapranno cogliere questa centralità del rapporto tra innovazione, penso all’IOT, e i social, per cogliere, monitorare e dare risposte adeguate alle emozioni e ai desideri degli utenti. Tutto ciò non potrà non avere un impatto anche sui modelli di business e sulle marginalità degli operatori del settore, spostandola dalla produzione ai servizi.”
In una prospettiva di ripresa e considerando quella che potremmo definire una nuova fase per il settore e per la filiera quali effetti si potranno determinare sulla struttura dell’offerta in termini di dimensione media, di incentivazione verso processi di aggregazione, di nuovi modelli organizzativi, di industrializzazione? E quale ruolo può svolgere la digitalizzazione?
“Le diverse accezioni dell’innovazione, sia di processo che di prodotto, sollecitate dalla digitalizzazione, così come dalla sostenibilità, dalle esigenze di circolarità, dalla riduzione degli impatti sul clima in una logica di neutralità appaiono oggi elementi scontati in termini di comunicazione. Limitandosi alla digitalizzazione, chi oggi non parla disinvoltamente di intelligenza artificiale, di Blockchain o di realtà virtuale o di BIM? E quindi se tutto ciò oggi costituisse realmente un insieme di potenzialità considerate come irrinunciabili nel processo produttivo edilizio sul medio termine, sarebbe giusto domandarsi in che modo tali fattori potrebbero modificare realmente la catena del valore e la natura della struttura stessa di un mercato che è andato, dal 1971, dimensionalmente, e non solo, polverizzandosi. Purtroppo la realtà appare molto diversa. Basti soltanto considerare che a livello internazionale la digitalizzazione, in termini di investimento, guardando alle nuove realizzazioni, si è andata coniugando da sempre con un approccio alle re-industrializzazione edilizia. Il che richiederebbe numerosi adattamenti nei confronti del mercato domestico, caratterizzato dagli interventi sul costruito. Si tratta soltanto di un esempio, ma illuminante sulle difficoltà che un processo di questo tipo possa affermarsi in tempi relativamente brevi nel nostro Paese. In particolare, ciò che appare critica è l’assenza di una cultura industriale, che oltrepassa di gran lunga una concezione strettamente vincolata al processo produttivo.”
Può il Superbonus costituire un’opportunità per ridurre i tempi in termini di processo riconfigurativo dell’offerta?
“Per certi versi sì. Il super bonus 110% potrebbe rappresentare, per le costruzioni, quello che Industria 4.0 è stato per la manifattura, soprattutto per tre caratteristiche: la straordinaria complessità del processo e l’eccezionale eterogeneità dei numerosi soggetti coinvolti; la assenza di una strategia complessiva a livello di distretti territoriali e urbani, poiché gli interventi dipendono dalla iniziativa singolare dei proprietari immobiliari, delle amministrazioni condominiali e delle comunità energetiche; il possibile protagonismo di Esco, di Multi Utility e di altri soggetti parzialmente estranei al settore. Da questo punto di vista pertanto il 110% appare come un fondamentale dispositivo di politica industriale nelle lodevoli intenzioni dei promotori e potrebbe determinare da un lato un congelamento del processo di frammentazione e dall’altro l’introduzione di nuovi attori con un ruolo di regia.”
Non abbiamo quindi certezze che alcune caratteristiche peculiari del mercato italiano delle costruzioni possano modificarsi in tempi brevi. Digitalizzazione e attenzione alla sostenibilità non sembrano fattori in grado di accelerare processi significativi di cambiamento?
“Dal punto di vista accademico, risulterebbe agevole predire che la trasformazione ambientale e digitale provochi un drastico ripensamento della struttura del settore, con importanti riposizionamenti. Tuttavia, non si terrebbe conto della capacità di resilienza del settore. Il racconto stereotipato che verte sulla sua arretratezza ambientale e digitale indurrebbe a immaginare l’insorgere di business model stravolgenti, di un inedito protagonismo della domanda, sia pubblica che privata, in grado di mettere in crisi le catene formate da professionisti e imprenditori. Così come sarebbe altresì semplicistico affermare che le economie di conoscenza e di scala, legate alla sostenibilità e alla digitalizzazione, avrebbero effetti su una riconfigurazione del settore, basata sull’espulsione dal mercato di imprese e professionisti a causa di una condizione, culturale e operativa, insostenibile. Nella realtà, questa previsione non pare fondata. Diventa, dunque, preferibile cercare di comprendere come una impostazione più graduale e realistica riesca a permeare capillarmente il tessuto delle committenze, così come quella professionale e imprenditoriale. A questo fine ritengo importanti tre questioni sulle quali i diversi attori della filiera dovrebbero riflettere e adattare la propria identità e le proprie strategie: la sostituzione epocale del dato al documento; il passaggio valoriale dal cespite all’utenza; le modeste marginalità e gli elevati livelli di rischio. E’ palese, infatti, che i processi decisionali governati sulla base dei dati implichino un forte livello di semi-automazione; la centralità della Occupancy enfatizzi la dimensione immateriale del servizio e dell’esperienza; la complessità degli interventi richieda una diversa percezione reputazionale da parte delle istituzioni finanziarie.”
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