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Di Federico Lenarduzzi

Dal primo Gennaio 2021 l’orologio dell’adozione del BIM (Building Information Modeling) ha spostato in avanti le lancette ed ha reso obbligatorio l’utilizzo di questo processo per tutte le opere di importo a base di gara, pari o superiori, a 15 milioni di euro.

Molti progettisti hanno seguito, o sono in procinto di farlo, percorsi formativi sull’utilizzo di software di modellazione (BIM Authoring) ma, come spesso ci capita di sottolineare, non tutti gli attori della filiera devono necessariamente saper sviluppare modelli. Infatti il know how necessario è spesso completamente diverso per chi progetta, per chi costruisce, per chi controlla e per chi gestisce. Architetti ed ingegneri devono sviluppare modelli informativi coerenti dove geometria e informazioni sono normalizzate e fruibili non da programmi di modellazione ma da strumenti di analisi. Una stazione appaltante non è detto che progetti ma è necessario che abbia strumenti e competenze per analizzare e validare i modelli dei progettisti. Un’impresa e, infine, un manutentore devono poter utilizzare i dati ed aggiornarli.

Un corretto approccio risulta fondamentale per evitare perdite di tempo ed inefficienze. Il BIM è di fatto un processo portentoso che sta catapultando tutto il settore AEC (Architecture Engineering Construction) nel futuro a patto che lo si domini e non subisca. Subendolo può diventare un boomerang che al ritorno ci presenterà un conto piuttosto salato.

Gli Enti pubblici sono quelli che si stanno approcciando a questa nuova metodologia di lavoro con più difficoltà.Nonostante questo sono i bandi pubblici che in Italia stanno trainando la richiesta di utilizzo del BIM. Dal 2015 ad oggi, come evidenziato ogni anno dal Rapporto OICE, si è passati da 4 bandi “BIM” a 478. Siamo in attesa della pubblicazione a fine gennaio del nuovo rapporto aggiornato con i dati del 2020, anche se sappiamo già che vi è stata una crescita di circa il 70% in numero di bandi pubblicati dove è richiesta la metodologia BIM.

Nel frattempo gli scenari normativi cambiano repentinamente. Il testo governativo di riferimento è il DM 560/2017 (Decreto Baratono) ma la UNI ha pubblicato la norma 11337, nelle sue diverse parti, che sono alla base di tutti i bandi sino ad ora pubblicati. Parole come LOD (Level Of Development) o Capitolato Informativo sono diventati d’uso comune per chi si occupa di BIM, salvo poi renderci conto che la pubblicazione della UNI EN ISO 19650, a metà 2020, ha di nuovo rimescolato le carte, imponendo l’abbandono dell’uso dei LOD per un sistema più sofisticato di “misurazione” del livello di BIM, richiesto o fornito, in un appalto pubblico o privato che sia.
Dalla norma UNI EN ISO 19650 apprendiamo che il legislatore sta cercando di abbandonare sigle e termini per dare spazio a una più ampia e descrittiva trattazione di come si possano richiedere i requisiti BIM in una commessa, di come si debba svolgere questa commessa (attraverso cioè step dichiarati e pre-impostati), quali siano le metodologie di controllo e verifica del prodotto/informazione BIM fornita e, infine, come debba essere fatta la consegna di questo prodotto/informazione in BIM.

Se da una parte questo continuo cambio di scenario normativo può confondere e spaventare, dall’altro ci si rende conto di quanto ancora si può investire in questo campo per ottenere processi edilizi sempre più innovativi, performanti ed efficienti. 

Se infatti pensiamo al ciclo di Deming (o ciclo di PDCA), applicato e citato più volte dal sistema qualità ISO 9001 delle aziende, non possiamo non trovare delle similitudini con l’impostazione del processo BIM indicato nella UNI EN ISO 19650: Plan-Do-Check-Act sono azioni ripetibili per qualsiasi progetto che ci permettono, potenzialmente, di migliorarlo ad ogni applicazione. Per questo motivo il BIM sta trainando il settore, nella consapevolezza che il processo di digitalizzazione trova nella normativa il linguaggio con cui da nicchia diventa standard.