Di Giovanni Salmistrari – L’annosa questione del recupero della più grande area deindustrializzata d’Europa: Marghera, ma anche le centinaia di ettari di aree produttive abbandonate che caratterizzano molti territori del Veneto; a cui si aggiungono gli oltre 10.000 capannoni abbandonati da abbattere o da riqualificare e i numerosi grandi contenitori privati e pubblici che incontriamo attraversando le nostre città capoluogo. Sono tutti segni del profondo cambiamento economico e sociale che stiamo vivendo e allo stesso tempo sono testimoni della grande opportunità della rigenerazione urbana e territoriale. Così quando Civiltà di Cantiere, di cui siamo partner, come Ance Veneto dalla sua nascita, ci ha proposto di organizzare nella nostra regione l’edizione 2018 della Construction Conference, da dedicare al tema della rigenerazione, ci è sembrata l’occasione per proseguire quella riflessione che insieme avevamo iniziato nel 2016 con uno studio dedicato ad evidenziare le caratteristiche virtuose delle trasformazioni urbane che ormai da oltre venti anni hanno cambiato il volto e la qualità della vita di molte città e regioni in Europa. Uno studio che continua a costituire il punto di partenza del confronto e del dialogo che abbiamo iniziato con le istituzioni locali e che si sta trasformando in un vero e proprio percorso di condivisione e di proposta su un metodo in grado di farci fare un salto in termini di progettualità e di sviluppo.
La locomotiva del Nord Est
La nostra regione, così come l’intero Nord Est, sta nuovamente assumendo un ruolo di locomotiva per la crescita economica del Paese, in un contesto geografico sempre più strategico.
Lo testimonia il particolare dinamismo sul piano del prodotto interno lordo (PIL), sorretto da una ripresa degli investimenti e da una rinnovata e sempre maggiore capacità competitiva del tessuto imprenditoriale sui mercati internazionali. Lo certificano le analisi di istituti di ricerca e i dati sulla crescita e sulla qualità della vita, fino a registrare uno spostamento consistente di ricchezza verso oriente, con la nascita di quello che la stampa ha definito “il nuovo triangolo industriale” con i vertici di Milano, Bologna e Venezia. Si tratta di segni chiari di una ripresa economica e di una consistente speranza di sviluppo. Ma noi sappiamo bene che per dare stabilità a questo processo c’è bisogno di rafforzare la tenuta di un territorio che si è dimostrato fragile e che chiede di essere trasformato a misura delle esigenze di un mondo che negli ultimi dieci anni è profondamente cambiato e di cui la composizione e i modelli imprenditoriali e di competizione industriale ne sono esempi evidenti. Siamo entrati nell’era della “quarta rivoluzione industriale” che sta cambiando profondamente la nostra vita, le relazioni sociali, così come le modalità commerciali. E che mette a disposizione tecnologie tali da poter ripensare e migliorare profondamente le funzionalità di un territorio e di una città. Il punto focale sul quale bisogna concentrare la nostra attenzione e condividere un approccio nuovo non può che essere quello di immaginare lo spazio urbano in modo diverso, tenendo presente la nostra storia e la conformazione che nel tempo il territorio è andato assumendo. Così dobbiamo consapevolmente tenere presente il contesto geografico più ampio che ci colloca all’interno del nuovo triangolo industriale, ma ci proietta pienamente dentro l’Europa a Nord come a Est, totalmente inseriti nei grandi processi di globalizzazione e di riconfigurazione commerciale mondiale. E allo stesso tempo dobbiamo confrontarci con il nostro policentrismo urbano e con un ecosistema metropolitano lineare, in cui si collocano le grandi opportunità della rigenerazione non solo di Marghera, ma anche delle altre aree deindustrializzate, così come dei macro contenitori presenti nelle nostre città capoluogo. Così come diventa determinante collegare il tema della rigenerazione a quello altrettanto strategico del potenziamento e della messa in sicurezza delle infrastrutture di trasporto e della logistica. È in questo contesto che dobbiamo trovare un metodo che ci consenta di superare le persistenti criticità che sono alla base delle difficoltà progettuali, ma che sia soprattutto in grado di attirare investimenti.
Tali criticità sono legate a una politica che vorremmo più forte e decisa nel definire le scelte, alla mancanza di una pianificazione di medio lungo periodo su cui poggiare un accordo tra le forze politiche, così da assicurare gli investitori sulla volontà condivisa di raggiungere gli obiettivi prefissati. Un fattore che, come ci dimostra Milano, è essenziale se vogliamo realmente rigenerare. Criticità che attengono ai modelli di Governance, così come alla scarsa flessibilità degli strumenti urbanistici e a tempistiche decisionali assolutamente incompatibili con i tempi dell’economia. Criticità che ritroviamo nell’incertezza con cui si definiscono i soggetti chiamati alla gestione delle operazioni complesse, così come nella definizione dei rapporti tra pubblico e privato. C’è scarsa chiarezza sui ruoli e nell’individuazione e gestione delle risorse pubbliche necessarie a creare le condizioni di base per gli investimenti privati, come nel caso delle bonifiche, che dovrebbero invece essere certe e disponibili fin dall’approvazione del progetto. Sono, come detto, punti di partenza nella speranza che con i partner e con gli stakeholders che abbiamo chiamato al tavolo sia possibile costruire un momento permanente di confronto in grado di assumere un ruolo attivo da protagonista per un’interlocuzione autorevole e condivisa con chi deve decidere e guidare la trasformazione del nostro territorio. È questa la nostra scommessa.
Articolo pubblicato su www.civiltadicantiere.it