Di Paolo Ghiotti – La cronica debolezza dell’economia italiana è dovuta a scelte di politica economica, ispirate al sostegno dei consumi piuttosto che degli investimenti. All’economia continua a mancare l’apporto fondamentale delle costruzioni. Una crescita costante delle costruzioni permetterebbe al Paese di recuperare mezzo punto di PIL l’anno. Un valore decisivo nell’attuale situazione economica e sociale determinatasi per effetto della pandemia.
Nonostante la profonda crisi che ha colpito il settore dal 2008 al 2018, le costruzioni ancora oggi rappresentano l’8% del PIL. Inoltre, le costruzioni sono in grado di generare, in virtù della loro complessa filiera collegata a quasi il 90% dei settori economici, l’effetto propulsivo più elevato sull’economia tra tutti i comparti di attività. La filiera lunga dell’immobiliare finisce, infatti, per contribuire alla crescita del Paese per un decisivo 22%.
Il dimezzamento della spesa pubblica in conto capitale negli ultimi dieci anni ha determinato un vero e proprio deterioramento dello stock di capitale pubblico che rende quanto mai urgenti interventi di manutenzione e adeguamento. Interventi non più rimandabili per garantire la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini, prevenire le conseguenze degli eventi catastrofici naturali, sempre più frequenti, e rendere il patrimonio infrastrutturale resiliente al cambiamento climatico.
L’emergenza sanitaria divenuta purtroppo emergenza economica che investe anche il nostro settore non deve far passare in secondo piano il futuro e le sfide dell’edilizia. A cominciare dalla riduzione del consumo del suolo e dalle costruzioni sempre più sostenibili. Queste strade non devono essere abbandonate perché sono fondamentali per il futuro.
Oggi i numeri a livello nazionale disegnano un quadro preoccupante per quel che riguarda le nostre abitazioni. Cinquantanove milioni di abitazioni, di cui 24 milioni ad alto rischio sismico, 6 milioni alto rischio idrogeologico; il 50% con più di 40 anni, l’80% oltre la classe. E non cambia per il Veneto che con 470.000 unità abitative assorbono il 30% dell’energia prodotta, con emissione in aria del 21% di Co2 e 64% di polveri sottili. Soffre pure la nostra città di Rovigo che già al 15 febbraio aveva raggiunto il trentacinquesimo giorno con valori di PM10 superiori al consentito in un anno.
La sostenibilità non è un no a tutto e non può ridursi alla semplice approvazioni di leggi, ma deve essere innanzitutto un salto culturale da parte di tutti gli attori coinvolti nell’edilizia dagli imprenditori alle istituzioni. Dobbiamo capire che il futuro passa attraverso un’edilizia d’implosione: demolire e ricostruire sullo stesso sedime. Abbiamo arte, mezzi e materiali per farlo con costi spesso inferiori a un intervento di recupero. Se noi rendessimo efficienti tutte quelle case della nostra Regione che non lo sono, con un investimento medio di circa 45.000 euro avremmo un movimento di diversi miliardi. Dobbiamo essere in grado di costruire progetti che sappiano integrare riqualificazione energetica ed estetica e rigenerazione che preveda un’edilizia qualitativa di sostituzione. Sono convinto che sia possibile rigenerare le nostre città, riqualificando le nostre case. Il futuro è un’edilizia bio, e sartoriale, un’edilizia che ci possa emozionare dando il giusto valore ai nostri centri storici, sempre più caratterizzati da palazzi vuoti e degradati, privi di economia e di socialità. Così come rigenerare le nostre periferie riempiendole di servizi ritroverebbero vigore diventando un fattore di crescita e non aree di emarginazione e di degrado. Il valore non sta più nei mc costruiti, ma nel benessere reso dal costruito e nella bellezza di quanto ci sta attorno.