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Intervista all’assessore al Bilancio e Programmazione della Regione Veneto Francesco Calzavara

La Regione ha definito il Piano Regionale di Ripresa e Resilienza (PRRR) sulla base del Piano nazionale definito dal Governo Conte e inviato alle Camere. In questi giorni il nuovo governo guidato da Mario Draghi potrebbe cambiare qualcosa, ma probabilmente più nel metodo che non rispetto all’elenco delle opere e ai macro ambiti. Da parte loro i nuovi ministri stanno delineando priorità e modalità con cui gestire i diversi progetti. Abbiamo chiesto all’assessore al Bilancio e Programmazione della Regione Veneto, Francesco Calzavara, quali sono i criteri che hanno portato alla stesura del Piano regionale alla luce degli obiettivi della Next Generatione EU.

“La scelta della Regione Veneto è stata quella di individuare una serie di progetti il cui livello di fattibilità fosse in linea con i termini dettati dall’Unione Europea, ovvero fossero realizzabili e completabili entro il 2026. A questo criterio di concretezza si è accompagnata un’attività di selezione sulla base della coerenza con le 6 missioni indicate dall’Europa e sulla base degli indirizzi fissati nella Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile. Ovviamente abbiamo anche prestato attenzione a quanto fissato nel Programma di governo proposto ai cittadini dalla maggioranza guidata dal presidente Zaia. Questi progetti contribuiscono a definire il Veneto che vorremmo, il Veneto del futuro. Innanzitutto un Veneto sempre più sicuro. Come? Attivando il massimo delle risorse possibili per una capillare ed efficace messa in sicurezza dei territori, nella consapevolezza delle fragilità delle nostre montagne e delle aree fluviali, convinti che operare prioritariamente in questa direzione fosse essenziale per garantire gli altri obiettivi, quali innanzitutto un Veneto più competitivo. Un territorio più sicuro è condizione essenziale per sviluppare quelle infrastrutture indispensabili per assicurare al nostro tessuto imprenditoriale di confrontarsi con i mercati nazionali e internazionali. Puntiamo ad una conversione eco-sostenibile del sistema della mobilità su ferro e su gomma, che, pur non essendo tra gli ambiti indicati dall’Europa, costituiscono per la nostra regione un elemento da sviluppare, migliorare e rendere più efficiente e sicuro. Completare il sistema di viabilità, mettendo in relazione aree importanti dal punto di vista economico e sociale, resta una condizione nevralgica per il Veneto. Il terzo obiettivo, in una prospettiva futura, riguarda un Veneto più innovativo, il che vuol dire una strategia e un impegno finanziario rilevante a sostegno di processi di digitalizzazione a favore delle persone e delle aziende. Utilizzare al meglio le innovazioni digitali significa anche semplificare la pubblica amministrazione e di conseguenza rendere più fluido e veloce il rapporto con i cittadini. Nel PRRR, infine, abbiamo inserito anche alcune opere riconducibili alle Olimpiadi del 2026, ritenendo che una manifestazione così importante porti con sé investimenti in grado di condizionare il futuro di una generazione, rispondendo quindi ai risultati attesi dal programma europeo.”

Nella programmazione dei piani relativi alla NGEU  si tende a sottovalutare un aspetto che invece la Commissione europea ha sottolineato con forza, ovvero la richiesta di una compartecipazione agli investimenti sia da parte di risorse pubbliche nazionali e/o regionali, sia attraverso il coinvolgimento di fondi privati.  Quali sono le modalità con cui la Regione intende dare seguito a questa raccomandazione?

“Non c’è dubbio che si tratti di un elemento importante che, tuttavia, a mio parere va considerato non tanto sotto il punto di vista meramente finanziario, scegliendo progetti in grado di coinvolgere forme di investimento privato, quanto nel rimuovere quei fattori critici di tipo strutturale che rendono poco attrattivo investire nel nostro Paese. La sfida resta la capacità di riuscire a fare le riforme che l’Europa ci chiede. E’ qui che si gioca la nostra affidabilità, garantendo certezza dei tempi e delle procedure. Sono questi i fattori che fanno la differenza per gli investitori. Con questo non voglio dire che le infrastrutture non siano importanti e non vadano sviluppate, tanto che noi le abbiamo previste e contiamo molto nelle risorse europee. Tuttavia, appare essenziale comprendere che vi sono grandi progetti nazionali sui quali si gioca maggiormente di altri il nostro futuro e su cui diventa determinante confrontarsi con le Regioni, trovando le soluzioni migliori per accelerare i tempi. Penso, ad esempio, alla banda larga, dove allo stato attuale delle cose si scontano ritardi e meccanismi che ne mettono a rischio la fattibilità. La questione della banda non è infatti un progetto tra i tanti, bensì costituisce uno degli ambiti maggiormente strategici proprio alla luce degli effetti della pandemia. Si pensi soltanto alla diffusione dello Smart Working o della telemedicina. Auspichiamo che su questo, così come su altri progetti, il governo Draghi proceda con alcuni aggiustamenti anche dal punto di vista del metodo, evitando di fare scelte che poi ricadano sui territori senza una condivisione adeguata”.

Quale ruolo lei vede nell’ambito del Piano per quanto riguarda la filiera delle costruzioni?

“Se noi guardiamo ai progetti inseriti nel PRRR appare immediatamente evidente che l’industria delle costruzioni, non solo e non tanto quella votata all’edilizia e al building, è chiamata a dare un contributo decisivo. Valga per tutti il dato relativo ai progetti e agli interventi relativi al risanamento idrogeologico e alla messa in sicurezza del territorio, ambiti ai quali si riferiscono ben 98 progetti sui 155 totali inseriti nel Piano Regionale. Il cambiamento climatico, del resto, è uno dei fattori a monte delle strategie attuali della Commissione europea, da cui trae origine anche il programma della NGEU. Cambiamenti che vanno ad impattare pesantemente sulla nostra regione. Ormai siamo consapevoli che fenomeni come le alluvioni, che una volta erano eventi straordinari oggi sono diventati ricorrenti, per non parlare delle erosioni delle spiagge, un patrimonio prezioso per la nostra economia turistica. Ed è qui che le aziende venete hanno il know how per essere protagoniste della ripresa economica, sociale e ambientale. Penso poi alla riqualificazione del patrimonio edilizio che deve necessariamente essere visto anche a dimensione urbana, creando connessioni virtuose con la rigenerazione di pezzi di città, sapendo valorizzare al meglio una legge innovativa come “Veneto 2050”. Dico questo perché sono convinto che la rigenerazione urbana si realizzi se ci sono adeguati investimenti pubblici intorno ai quali poi aggregare gli investimenti privati. Oggi assistiamo a una generale riduzione della scala degli interventi anche da parte dei privati. Un’inversione di tendenza può avvenire soltanto da un’immissione rilevante di finanziamenti pubblici accompagnati da adeguati sgravi fiscali. Per questo, come Regione, dobbiamo valutare se e come utilizzare i fondi europei per il nuovo Settennato 2021 – 2027. Qui potremmo trovare le risorse per un nuovo grande progetto che funga da scintilla per una nuova stagione adeguando le nostre città ai grandi cambiamenti e alle esigenze figlie della pandemia: più verde, più spazi pubblici, una diversa concezione degli spazi urbani e della mobilità. La Regione, ad esempio, sta facendo una riflessione se spostare tutti gli uffici in una cittadella amministrativa unica. Potrebbe essere il fattore scatenante: pensiamo soltanto se si decidesse di crearla su un waterfront a Marghera, 2000 persone, con un effetto volano in termini di attrazione di investimenti di rilevantissima portata”.

Colgo l’occasione di queste sue riflessioni per chiederle cosa pensa di una città metropolitana veneta policentrica…

“Credo che una riflessione vada fatta e che si debba andare oltre la PATREVE. Del resto, tra due anni quando sarà completata la Pedemontana, lo scenario attuale è destinato a mutare profondamente. La riflessione dovrà prevedere un passaggio da un triangolo a un quadrilatero inserendo l’area che da Vicenza va a Bassano del Grappa, aggiungendo alle vocazioni e alle specificità della altre tre aree nuove competenze e nuove potenzialità, consentendo a questo nuovo soggetto metropolitano di competere alla pari con le grandi aree dell’Europa. Dobbiamo confrontarci, discutere, condividere idee e proposte. Un impegno nel quale vedrei bene anche le associazioni imprenditoriali. Poi ci vorrebbe anche un soggetto aggregatore in cui riconoscersi. Sarebbe bello avere un soggetto finanziario intorno al quale costruire questo grande progetto metropolitano Veneto”.

Questioni e scenari dove gioca un ruolo importante la capacità di Governance così da indirizzare e gestire al meglio la macchina pubblica favorendo il dialogo e il confronto con i diversi livelli decisionali sul territorio. Mi riferisco alla capacità di orientare e indirizzare le scelte delle grandi stazioni appaltanti, sia per quanto riguarda la mobilità, e quindi ad esempio Anas e Ferrovie, sia rispetto alle società multiultilities, protagoniste su fronti strategici come quelli dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti.

“Il Veneto per collocazione geografica riveste un’importanza fondamentale per la rete ferroviaria. Vi sono opere decisive per il nostro sistema economico e in una logica di mobilità sostenibile che vanno completate rapidamente. Pensiamo soltanto a cosa vuol dire avere un aeroporto che è il terzo d’Italia dopo Roma e Milano per movimentazione delle persone, ma non ha un collegamento ferroviario veloce con le città dell’area metropolitana. Va detto che su questi temi l’interlocuzione con le FFSS è costante. Un risultato importante riguarda l’Anello del Bellunese a cui aggiungiamo un tassello importante: una linea ferroviaria elettrificata che congiungerà Belluno alle principali province Venete. A giugno, infatti, potremmo offrire un servizio ferroviario migliore ai bellunesi e ai turisti, non solo in termini di sostenibilità ambientale, grazie ai moderni treni elettrici POP, ma anche in termini di durata e di comodità del viaggio. In minor tempo, e in molti casi senza il fastidioso ‘cambio treno’ a Conegliano, le Montagne di Venezia saranno ancora più accessibili da Venezia. Sul fronte delle strade abbiamo maggiori difficoltà e sarebbero necessarie alcune riorganizzazioni societarie, così come un’ intelligente messa a valore di esperienze come quella del Passante e una rivitalizzazione di una società come CAV che oggi è bloccata e che invece potrebbe diventare un attore fondamentale in grado di svolgere un ruolo dinamico in uno sviluppo delle reti viarie regionali su gomma. Si pensi soltanto alla dorsale adriatica e ai collegamenti con il mare. Per quanto riguarda le multiutilities ritengo che sarebbe molto utile fare una riflessione più ampia. Purtroppo rispetto a questioni che oggi diventano sempre più rilevanti, quali energia, acqua e rifiuti, si è proceduto preoccupandosi ciascuno del suo micro ambito territoriale. Si sono create realtà scalabili e poco difendibili e così oggi le principali decisioni si prendono a Bologna o a Milano. Ci vorrebbe una visione di insieme in grado di ripensare la connessione tra questi servizi e il territorio regionale”.

Lei ha anche la delega alla digitalizzazione, la cui transizione è uno del cardini della NGEU. In quale direzione la Regione si sta orientando e dove concentrerà le sue strategie?

“Come ci dimostrano le grandi aziende americane e cinesi oggi la ricchezza sta nei dati, nella loro reperibilità e valorizzazione. Il nostro progetto di Veneto digitale parte da questa considerazione.  Vogliamo diventare aggregatori delle miriadi di dati presenti sul territorio, raccoglierli e sistematizzarli per poi dotarci delle professionalità e delle competenze per fare le analisi necessarie e per offrire letture e interpretazioni non solo di ciò che è avvenuto o sta accadendo, ma anche con un obiettivo predittivo. Intendiamo costruire insieme a diversi soggetti quali Infocamere, le Università, o aziende come CAV e con chi è depositario di dati, un unico contenitore da gestire attraverso un nuovo soggetto, una nuova agenzia. Le faccio solo un esempio: gli sportelli unici raccolgono una molteplicità di dati sul consumo di suolo e su come si va trasformando il territorio che sono essenziali per fare strategie e pianificazione per il futuro. Vogliamo essere in grado di dare alle imprese, alle amministrazioni territoriali e a chi opera sul territorio delle suggestioni, delle informazioni utili per orientare il loro futuro e le loro scelte”.

Può la digitalizzazione contribuire anche a risolvere l’annosa questione della bassa capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche, ad iniziare dai Comuni?

“Si tratta di una questione nevralgica alla quale dovremmo, una volta finita questa crisi pandemica, trovare delle risposte definitive. Uno dei nodi da sciogliere riguarda la perdita progressiva di competenze e di professionalità all’interno delle amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli. Solo la Regione oggi registra un deficit nella pianta organica di 450 persone. La scarsità di risorse si accompagnerà a un cambiamento del modo di lavorare e quindi un ripensamento delle professionalità. E qui, la digitalizzazione e le innovazioni tecnologiche avranno un ruolo essenziale. Del resto dobbiamo essere consapevoli che se riuscissimo ad acquisire risorse adeguate per innovare ma poi mancassero le competenze non saremmo in grado di gestirle. Così da un lato dobbiamo assolutamente puntare su processi digitalizzabili che possono garantire automatismo e rapidità decisionale, dall’altro dare una risposta rapida e consapevole al gap generazionale di dipendenti pubblici che potrebbe mettere in crisi l’intero sistema, che oggi richiede di stare al passo con i tempi e con le innovazioni tecnologiche”.