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A colloquio con il presidente della CNCE Carlo Trestini – a cura di Alfredo Martini

Da pochi giorni sono disponibili i dati di consuntivo relativi all’Osservatorio statistico nazionale della CNCE, la Commissione Nazionale delle Casse edili. Costruito sull’elaborazione di flussi informativi relativi a 144 Casse edili diffuse sull’intero territorio nazionale, l’Osservatorio costituisce la fonte più puntuale su quanto avviene nel mercato delle costruzioni in termini di ore lavorate, numero di operai e numero di imprese attive.  Ne parliamo con il presidente Carlo Trestini, che è anche presidente di ANCE Verona.

I dati dell’Osservatorio confermano un andamento negativo per quanto riguarda l’anno solare 2020 rispetto al 2109 anche se la contrazione appare decisamente più contenuta rispetto all’ultima rilevazione che non comprendeva l’ultimo trimestre.

Vale la pena ripercorrere rapidamente quanto avvenuto. L’esplosione della pandemia è avvenuta in un momento di grandi aspettative per il settore delle costruzioni, che aveva registrato alla fine del 2019 un buon andamento che faceva sperare in una solida ripresa dopo anni di grande difficoltà.  La diffusione del Covid e il generale e lungo lockdown dei primi mesi dell’anno scorso hanno fatto crollare la produzione e diffuso un generale pessimismo. Poi una decisa ripresa nei mesi estivi e un autunno che a parte novembre ha assunto una dimensione inattesa, consentendo di limitare i danni e far ben sperare per l’anno in corso nonostante il perdurare di una situazione sanitaria ancora molto critica.

In sintesi quali sono i numeri finali a livello nazionale?

Il 2020 complessivamente ha registrato una contrazione delle ore lavorative prossima al 9% e corrispondente a una riduzione della massa salari rispetto al 2019 intorno al -8%. Nell’ultimo anno solare il settore ha perso quasi 51 milioni e mezzo di ore lavorate corrispondenti a oltre 422 milioni di massa salari. Grazie al rimbalzo di fine anno il numero delle imprese risulta a consuntivo sostanzialmente stabile (-0,3%): 310 quelle uscite dal mercato.  Ma il dato più interessante riguarda il numero dei lavoratori che risulta inaspettatamente in aumento del 2,6%. In termini assoluti stiamo parlando di quasi 12.000 operai in più rispetto al consuntivo 2019. E’ un dato molto significativo soprattutto se lo rapportiamo a quanto avvenuto nell’ultimo trimestre dell’anno quando, grazie a un aumento delle ore lavorate che ha sfiorato un 3% in più rispetto all’ultimo trimestre del 2019, la crescita degli operai è stata del 4,6%, corrispondente a quasi 21.500 lavoratori in più. Che la ripresa fosse in atto lo conferma anche il dato relativo alle imprese cresciute nel trimestre di ben 807 unità. Uno scenario che fa ben sperare e spinge all’ottimismo.

In quale misura su questo rimbalzo può avere influito e continuerà ad influire sulle dinamiche del mercato il 110%?

Non c’è dubbio che si tratti di un provvedimento dalle grandi potenzialità e che sta fungendo da  stimolo per il mercato residenziale. Del resto non va sottovalutato che, se sicuramente l’incentivo ne costituisce un fattore determinante, un effetto positivo va individuato anche nella rinnovata importanza della casa che per effetto della pandemia ha assunto nella vita di ciascuno di noi. Non più, quindi, bene rifugio, ma bene sociale. Si tratta di un cambiamento culturale, di mentalità e di visione. Ed è qui che quindi il Superbonus può giocare un ruolo decisivo nel consentire una riqualificazione del patrimonio immobiliare del nostro Paese in linea con quella transizione ecologica che è uno degli obiettivi fissati nel PNRR. Ed è per questo che ci attendiamo che il provvedimento venga prorogato almeno al 2026. Solo così, infatti, potremo raggiungere risultati rilevanti e diffusi, non solo rispetto al prodotto edilizio, ma anche sul piano di una reale crescita del tessuto imprenditoriale, di uno sviluppo professionale e delle competenze. E’ una grande occasione per poter vincere la sfida dell’innovazione, grazie alla quale è oggi possibile garantire certezza dei costi e dei tempi, con la conseguenza di favorire modelli organizzativi e gestionali del tutto nuovi. Con il 110% il sistema delle imprese ha l’occasione per dimostrare la propria preparazione e le capacità per un’edilizia di qualità, nel pieno rispetto di valori fondamentali come la sicurezza e la regolarità.

In questa prospettiva di una crescita della domanda per le imprese resta aperta la questione della necessità, in un mercato che sta profondamente cambiando, della ricerca di una mano d’opera sempre più qualificata e di nuove professionalità. Quali sono le maggiori criticità e quale ruolo può avere la rete degli enti bilaterali?

Io credo che il settore possa crescere e rispondere al cambiamento solo se saprà aprire le porte a giovani tecnici imparando a dialogare con loro e a dare loro fiducia. La mia esperienza va in questa direzione. L’ingresso nella mia azienda di tre nuovi tecnici con conoscenze e competenze digitali sta contribuendo a proiettare l’impresa nel futuro. Aver continuato negli ultimi cinquant’anni a costruire sempre nello stesso modo e a replicare tradizionali modelli e sistemi costruttivi ha bloccato le potenzialità di sviluppare nuove professionalità. Come imprenditori siamo chiamati a confrontarci con un contesto totalmente diverso da quello a cui eravamo abituati da generazioni. Ecco che allora anche il ruolo della bilateralità e delle Parti sociali deve cambiare ed allinearsi al nuovo mondo e al mercato che si evolve. Dobbiamo dotarci di strumenti innovativi a misura delle nuove esigenze. Per questo diventa essenziale una collaborazione sempre più forte tra le parti sociali. Per quanto riguarda la persistenza di una carenza, direi non solo specializzata ma anche generica, di mano d’opera deve crescere la consapevolezza che sta diventando un fattore potenziale di crisi. E’ necessario che si proceda con una riflessione e un dibattito alto, che sappia collegare le esigenze del settore come una priorità per l’economia del Paese a scelte politiche conseguenti. Nell’ultimo anno il fenomeno della mancanza di lavoratori nell’edilizia è andato crescendo per effetto delle potenzialità del 110%. Un trend destinato ad aggravarsi sempre più anche alla luce dell’avvio dei programmi previsti dal PNRR, ad iniziare dalla riqualificazione e nuova costruzione di infrastrutture. Credo che si debba affrontare in modo diverso anche la questione dell’immigrazione. All’Italia e all’industria edilizia è necessaria una pianificazione misurata sulle esigenze della nostra economia. La carenza di politiche volte a favorire la permanenza in Italia dei migranti attraverso politiche integrate, ad esempio tra casa e lavoro, producono effetti destinati a frenare le potenzialità attuali dell’industria delle costruzioni.