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di Federico Lenarduzzi – L’obbligo normativo dell’adozione della metodologia BIM negli appalti pubblici, che si sta progressivamente attuando dal 2019 fino ad arrivare al 2025, pone come argomento centrale la digitalizzazione del settore edile. L’elevato numero di attori che concorrono alla pianificazione, progettazione, costruzione e gestione di un edificio in ottica digitale, sono forzati a collaborare ed interagire in un ambiente virtuale, e dunque in modi che tradizionalmente non trovano modelli conosciuti; da ciò deriva l’adozione di un linguaggio informatico comune attraverso l’utilizzo di formati aperti (IFC) ma soprattutto una condivisione di scopi e obiettivi.

Spesso nella nostra attività di consulenza presso studi ed imprese ci troviamo di fronte ad apparati tecnici di alto profilo che hanno assimilato alcune procedure tipiche del processo BIM, ma che non riescono a mettere a fuoco il disegno complessivo che è alla base di tale processo. Troppo spesso ci si ferma ai “come” e si perdono di vista i “perché”.

Perché Google Maps é un ottimo navigatore? Perché per farmi arrivare a destinazione nel minor tempo possibile (scopo primario), mi fornisce una mappa aggiornata con le informazioni sul traffico in tempo reale e, sfruttando il gps integrato nello smartphone, sa perfettamente dove mi trovo e quale direzione sto percorrendo. Immaginiamo che queste tre informazioni siano presenti sul mio telefonino ma non integrate. Sarebbe difficile trarne beneficio: dovrei controllare dove ci sono rallentamenti e poi verificare se il percorso si trova su uno di questi rallentamenti e contemporaneamente controllare la mia posizione. Queste azioni sarebbero di fatto ingestibili, e renderebbero di conseguenza il mio obiettivo (scopo primario) irraggiungibile.

In un processo BIM che coinvolge per sua natura tutta la vita di un edificio dalla sua ideazione fino alla demolizione, gli obiettivi devono essere espliciti e comuni a tutti gli attori: ad esempio in ambito alberghiero il committente, affiancato da un BIM Manager che ha il compito di produrre la documentazione di processo atta al raggiungimento di tali obiettivi, stabilisce il budget a disposizione per l’opera, le caratteristiche funzionali del progetto e i tempi di consegna. A questo punto tutti gli attori devono operare in questo senso per raggiungere un traguardo comune. L’ostacolo più evidente in questa fase di mercato in Italia, che potremmo definire di “pre-BIM” è rappresentato dal ragionare come una staffetta invece che come una squadra. Un team infatti si coordina in tempo reale per il raggiungimento di un obiettivo condiviso, in una staffetta una volta “passato il testimone”, si attende che anche gli altri compagni facciano la propria parte e alla fine si assiste passivamente all’esito della gara.

Nella cultura greca il concetto di ’”eudaimonìa”, ovvero “la buona riuscita del proprio demone”, intende lo sviluppo armonico delle proprie capacità.

Un percorso molto simile a questo, a nostro avviso, è richiesto agli operatori che vogliono concorrere sul mercato nei prossimi anni. Innanzitutto, capire e decidere dove lo studio tecnico o impresa vuole “posizionarsi” rispetto al mercato, secondariamente individuare le competenze di cui necessita per fare questo, infine assumere professionisti con tali skills. Una volta completato questo processo, l’ultimo passaggio è acquisire gli strumenti informatici (software) più idonei alla “buona riuscita del proprio demone”.

Spesso una tendenza tanto intuitiva quanto nefasta, è quella di partire dagli strumenti come se la digitalizzazione fosse solo una questione di modelli 3D. Il BIM è un processo collaborativo che ridefinisce i ruoli e le procedure e, se non si esplicita la posizione del traguardo, il percorso impostato perde completamente di significato.

Ci sono momenti in cui fermarsi ad immaginare il futuro, congiuntamente al modo in cui ci si vede al suo interno, rappresenta il miglior antidoto contro errori di “posizionamento” nel mercato. Uno di questi è oggi.