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Di Donato Riccesi – Vicepresidente ANCE Friuli Venezia Giulia

Riportiamo questo articolo a commento dell’articolo Le regole del subappalto

Il tema del subappalto nel nostro ordinamento è sempre stato affrontato con un approccio nel quale forti componenti demagogiche si fanno scudo di argomenti sensibili – quali la lotta alle infiltrazioni della malavita organizzata – con il risultato di produrre normazioni contraddittorie e inefficaci quanto dannose per le imprese. Il tutto, in un ambito di relazioni industriali dove la parte datoriale è sempre risultata soccombente, non essendo stata capace di elaborare un accordo con le OOSS, anche nelle occasioni favorevoli dei rinnovi contrattuali. E’ paradossale il fatto che il tema del subappalto abbia rappresentato e rappresenti un tabù per ogni tipo di governo, anche se il grande peggioramento si è avuto nel passaggio dal D.lgs 163 all’attuale Codice dei Contratti. A ciò si aggiungono protocolli di legalità su base territoriale, variabili nei contenuti, che normalmente rispondono più a forma che a sostanza.

Non si è mai provato a dare una risposta seria e pragmatica alla domanda su come sia possibile per una piccola “impresa generale”, magari artigiana (che di media conta meno di una decina di dipendenti diretti) portare a termine un’opera pubblica rispettando i limiti del subappalto nelle varie categorie prevalenti e scorporabili. Perché, a ben vedere, gli slalom arditi a cui sono sottoposte le PMI per onorare gli impegni contrattuali con le stazioni appaltanti pubbliche impongono tecnicismi, con il conseguente rischio di comportamenti elusivi per poter rientrare nelle percentuali di subappalto (dal 30 al 40 %) imposte dalle norme nazionali. L’unica strada sicura sarebbe quella dell’assunzione diretta della manodopera, scenario che comporterebbe un carosello di assunzioni e licenziamenti di dipendenti per brevi periodi tra le aziende, ingestibile per qualsiasi operatore.

L’Europa si è già espressa a proposito sanzionando l’Italia, che preferisce pagare piuttosto che cambiare indirizzo, il che comporterebbe un duro confronto con le organizzazioni sindacali prima ancora che con le strutture amministrative-burocratiche dello Stato sempre più spesso referenti solo a sé medesime.

Il binomio infiltrazioni malavitose/subappalto appare semplicistico, di facciata, quanto poco efficace risulta il sistema delle white list affidate alle prefetture (dove basta aver prodotto domanda d’iscrizione che poi rimane pendente per mesi se non per anni) a fronte del fatto, poi, che gran parte delle autorizzazioni anti-mafia avvengono per silenzio assenso… ma allora di cosa stiamo parlando?  

In attesa di una revisione della materia, che, alla luce della congiuntura extranazionale dovuta alla pandemia, non riusciamo ad immaginare così imminente, risulterebbe interessante approfondire, e se possibile applicare, quei comportamenti che altre realtà territoriali (non solo nelle provincie di Trento e Bolzano) hanno inteso attuare nel rispetto delle norme europee ritenute prioritarie rispetto al nostro codice dei contratti.

Sono strade percorribili? E con quali rischi? Vi sono sanzioni penali per pubblici funzionari e/o imprenditori che decidano di applicare le norme dell’Europa piuttosto che quelle dello Stato?

Nel frattempo credo che temi quali: le modalità per documentare la genuinità dei distacchi di manodopera, la frazionabilità delle subforniture dalle prestazioni con l’acquisto diretto di componenti e materiali da parte dell’impresa, i noli a calo e freddo di attrezzature da parte di subfornitori, ecc… Dovrebbero essere sviscerati nelle molteplici modalità operative per fornire maggiori quanto indispensabili strumenti al mondo delle imprese per lavorare con maggiore consapevolezza e serenità.

Resta un tema da approfondire quello della fidelizzazione attraverso la costituzione di reti d’impresa tra operatori con diverse specializzazioni, che, nell’offrire maggiore garanzia di qualità, si scontrano con un mercato più chiuso e quindi potenzialmente meno flessibile e competitivo.

In tale ambito, il compito delle associazioni come ANCE dovrebbe essere più incisivo nello di svolgere politiche di sistema che possano portare – anche attraverso NEC – a un salto di qualità anche delle committenze: con il riconoscimento di criteri di premialità nei confronti di quelle imprese che avranno saputo adottare logiche di filiera, di certificazione, di innovazione piuttosto che il semplice dato economico del ribasso. Il cammino è tutto in salita.