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L’articolo è tratto dall’introduzione al volume curato da D. Marini e F. Setiffi “Una grammatica della digitalizzazione”, Milano, Guerini e Associati, 2020 (pagg. 248, € 22,00 e open access: https://guerini.it/index.php/una-grammatica-della-digitalizzazione.html)

Negli ultimi decenni il mondo della produzione e del lavoro sono stati attraversati da processi di trasformazione radicali che hanno influenzato il modo di lavorare, le organizzazioni produttive, oltre alla stessa vita dei lavoratori. Come ricordava Accornero, molte sono state le modifiche strutturali intervenute nel mondo del lavoro e, di conseguenza, nella società:

1) alla dimensione della produzione si è associato il peso crescente del servizio: la centralità del cliente è diventata l’imperativo per qualsiasi attività;

2) l’introduzione delle nuove tecnologie ha spostato il baricentro del lavoro dal luogo fisico a una pluralità di ambiti. Possiamo lavorare da casa (telelavoro o remote working) o in qualsiasi altro luogo dove ci sia una connessione, in treno o in un parco (smart working), in modo flessibile. Tale esperienza ha avuto, complice il Covid-19, una vera e propria espansione. Per un insieme di professioni il lavoro è diventato “diffuso” e “pervasivo” occupando spazi di vita prima solo privati o distinti dal momento del lavoro, alimentando la costruzione di nuovi profili professionali “ibridi”. La stessa architettura delle imprese (in casi ormai non più così marginali) privilegia gli spazi aperti, dove le persone si incontrano e possono lavorare grazie alla connettività, rispetto agli uffici chiusi;

3) la conseguenza di simili processi si è riverberata sulle organizzazioni del lavoro sempre meno rigide e più flessibili, così possono seguire in tempo reale (just in time) la domanda e adattarsi velocemente, prevedendo una progressiva integrazione fra imprese, produttori, consumatori e tutti gli attori della catena del valore grazie alla costruzione di piattaforme produttive. Per diventare innovative e “intelligenti”, però, le imprese devono realizzare un cambiamento culturale nella gestione, nella visione del modello di business e nel rapporto con i propri collaboratori;

4) tutte le attività lavorative comportano una fatica fisica, ma è indiscutibile che le tecnologie applicate al lavoro abbiano spostato l’accento sulla dimensione dell’impegno e dello stress individuale. Tale trasformazione incide inevitabilmente anche sul piano delle competenze, richiedendo, per un verso nuove definizioni e la rappresentazione di una nuova mappatura, dall’altro, l’identificazione anche di un diverso “ambiente” in cui formazione e lavoro trovino nuovi spazi di relazione e una ridefinizione;

5) la conseguenza della flessibilità si è ripercossa anche sugli orari di lavoro, il cui sfasamento è crescente;

6) tutte queste dimensioni si sono riverberate sulla struttura sociale dei lavoratori. Alle tradizionali classi omogenee (operai, impiegati) si è sostituita un’articolazione di gruppi professionali innumerevoli da elencare, molto frammentata al suo interno, di difficile rappresentazione nelle modalità tradizionali e in continua trasformazione;

7) sono mutati anche i ruoli familiari: con l’ingresso sempre più numeroso della componente femminile nel mercato del lavoro, il breadwinner non è più un ruolo esclusivo dei maschi.

Le metamorfosi del lavoro, però, non terminano qui, anzi. La Quarta rivoluzione, che impropriamente definiamo e confiniamo nell’ambito industriale, sta iniziando a dispiegare i propri effetti e non solo all’interno del sistema produttivo. I driver tecnologici oggi noti stanno dischiudendo un futuro di cui non conosciamo gli approdi e, soprattutto, hanno già frantumato le categorie analitiche tipiche dell’industrializzazione. Il tradizionale confine fra lavoro manuale e intellettuale impallidisce di fronte alla realtà oggettiva delle mansioni svolte da molti occupati. Il concetto di fabbrica odierna, dove la tecnologia e i servizi sono penetrati profondamente, non è più in grado di descrivere appieno quel luogo e potrebbe essere chiamata “fabbri-gitale”. Le stesse imprese si definiscono sempre meno come unità isolata, ma in relazione integrata con una filiera di per sé multisettoriale. Per non dire dell’influenza sempre maggiore che i clienti e i consumatori hanno sulla produzione, al punto che si rovescia la tradizionale relazione business to consumer (B2C), dall’impresa verso il consumatore, in quella inversa del consumer to business (C2B), dove quest’ultimo può (e non di rado riesce) a condizionare i comportamenti aziendali.

Inevitabilmente questi processi non possono che determinare ricadute anche su un altro piano. Le culture del lavoro, l’emergere di una nuova prospettiva dove l’aspettativa soggettiva di autonomia sul lavoro s’incrocia con l’autodeterminazione consentita dalle tecnologie digitali, inducendo a una ricomposizione del lavoro: i lavoratori “imprenditivi”.

La sfida, quindi, consiste nel tentativo di scrivere una nuova “grammatica” che aiuti a leggere ed esprimere più compiutamente i processi di trasformazione paradigmatica in corso.